Riscoprire la ragazzina che si sentiva Jean Gabin. Goliarda Sapienza tra “Lettere e biglietti” (e cinema)

Dimenticata per troppo tempo Goliarda Sapienza, scrittrice, poetessa, attrice e militante torna in libreria con la raccolta (postuma) di “Lettere e biglietti” (Nave di Teseo) a cura del marito Angelo Pellegrino. Un itinerario emotivo e appassionato alla scoperta dell’autrice de “L’arte della gioia”. Mentre Mario Martone ha portato Goliarda a teatro e Valeria Golino sta pensando di (ri)portarla al cinema …

È di nuovo in libreria Goliarda Sapienza, con Lettere e biglietti (420 pp., 20 euro) edito da La Nave di Teseo e a cura del marito Angelo Pellegrino. Scrittrice, poetessa, attrice del neorealismo e militante a suo tempo senza fama, scomparsa nel 1996, fu autrice, fra gli altri, di L’arte della gioia pubblicato postumo nel 1998 per Stampa Alternativa e dieci anni dopo per i tipi di Einaudi, dopo avere riscosso non poco successo in Francia che, come accaduto per vari autori, ha permesso la sua scoperta in Italia (qui l’intervista alla traduttrice francese, Nathalie Castagné).

Goliarda viene oggi riconosciuta tra le maggiori autrici letterarie italiane del Novecento. Ben vengano quindi i messaggi indirizzati dal 1950 fino alla morte ad amici e conoscenti e che costituiscono il tassello mancante di un mosaico artistico che rivela molto di questa pensatrice contestata, incompresa e poi ricercata post-mortem.

“Le sue lettere non hanno mai carattere pratico, com’è spesso dell’ordinaria corrispondenza, ma sono sempre dettate dall’esclusivo bisogno di trasmettere un modo di pensare e di essere, insieme a un modo di amare” annuncia Pellegrino nella prefazione. Primo destinatario della corrispondenza è il suo primo amore e compagno, il regista Citto Maselli, e poi altri registi nonché amici e colleghi del mondo del cinema, della cultura e non solo: da Luchino Visconti ad Attilio Bertolucci, da Sandro Pertini a Marta Marzotto a Willy Toscanini, a Lina Wertmüller e a molti altri.

Attraverso gli incontri, gli scontri, le amicizie e gli amori si rivive l’ambiente intellettuale – quasi lo stesso che ruotava attorno a Moravia, Pasolini, Elsa Morante e altri – in confessioni e scorci dentro i salotti dei luoghi di riferimento di Goliarda: Positano, Roma e Gaeta.

L’autrice temeva i “giorni antiletterari”, ovvero quelli senza scrittura. Spediva biglietti perché amava farlo e detestava il telefono, che a suo avviso alterava la vera comunicazione; credeva nella forza del documento scritto, e prima di inviarlo ne faceva una copia. Questo inedito epistolare ne è prova concreta.

Credeva inoltre che scrivere, fissare sulla carta le parole, contribuisse a creare un ponte comunicativo più efficace con il suo interlocutore, al riparo dagli equivoci generati dell’emotività: divagazioni spassionate, ragionamenti, invettive, richieste timide di aiuto, ringraziamenti sono la manifestazione del temperamento vulcanico della scrittrice.

Alle donne, in particolare, le lettere di Goliarda raccontano una scrittrice oltre lo specchio: “Non ti preoccupare del mio viso, non ho specchi e questo mi permette di dimenticarlo. Adesso è come se avessi i lineamenti che piacciono a te”. Tristezze, malumori e mancanza di fiducia la scombussolano spesso: “Sono caduta tante volte, eppure eccomi qua, in piedi, che ti scrivo. Anzi ultimamente sono venuta alla conclusione che le persone che non cadono, in realtà è perché non stanno in piedi”.

Morì in povertà, e leggiamo ora le sue accorate suppliche a Sandro Pertini e a Pietro Nenni affinché le sue opere venissero prese in considerazione dagli editori. Figlia di una coraggiosa militante socialista scriveva a Pertini perché la aiutasse nello sforzo disperato di trovare un editore per pubblicare il suo L’arte della gioia, quel libro scandalo incentrato sul personaggio di Modesta, libertaria, vitale e scomoda, apertamente immorale per l’Italia dei Settanta.

Goliarda versava in condizioni economiche preoccupanti, commise un furto e finì, seppure per poco, in carcere, esperienza che si rivelò per lei fondamentale e narrata nel 1983 in L’università di Rebibbia per Rizzoli (ora Einaudi). L’autrice strinse amicizia con numerose detenute, tra cui Mirella, Nancy e altre alle quali indirizzò non pochi dei messaggi ora pubblicati.

Goliarda era nata a Catania nel 1924 dalla sindacalista Maria Giudice e dall’avvocato socialista Giuseppe Sapienza, entrambi vedovi e quarantenni, con tre figli l’uno e sette l’altra – una tribù di fratelli acquisiti, ciascuno intento a inseguire i propri sogni – protagonisti attivi delle lotte alle lotte per l’espropriazione delle terre in Sicilia nel biennio 1920-22.

Nello studio del padre, “amato dai poveri e odiato dai fascisti” si intratteneva a volte con i clienti – il più delle volte persone umili e sprovvedute – e ne ascoltava le storie strazianti. Definì in seguito quei racconti da anticamera una “vera e propria incubatrice letteraria”.

Quanto alla madre, amica personale di Lenin, segretaria della Camera del lavoro di Torino durante gli scioperi del ’17 che le costarono la condanna per alto tradimento del governo italiano, aveva trasformato l’appartamento catanese in un focolaio di resistenza e di controcultura.

La scrittrice visse fino all’ultimo impregnata di “catanesità” e nei suoi romanzi si osserva un costante riferimento al cinema: nel coinvolgente e appassionato Io, Jean Gabin (anch’esso postumo, Einaudi 2010), narra della sua “Catania profonda”, con le stradine traboccanti di vita e di malaffare, come la casbah di Algeri dove il suo eroe Jean, icona anarchica del cinema francese che le calza a pennello, scorrazzava fumando il suo sigaro incontrando prostitute filosofe, diseredati e filibustieri vari.

Usciva dalla sala buia del cinema Mirone la “carusa tosta”, quel tornado di ragazzina che si sentiva Jean Gabin dalla testa ai piedi. Si identificava appieno nell’attore simbolo dei socialisti rivoluzionari, il cinema divenne luogo di formazione e luogo della memoria, che diede origine alle fantasie che l’attrice prima e la scrittrice poi ha trasformato in materia prima della propria biografia.