Il giornale dove è nata la commedia all’italiana

Più che una rivista satirica è stata una fucina per gli autori del nostro cinema. È il “Marc’Aurelio”, testata satirica nata sotto il fascismo, dove sono nati i personaggi di Fellini, Scola, Age&Scarpelli, Sordi e Totò. Lo racconta un doc, passato al Taofest…

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Un grande omaggio gliel’ha dedicato di recente proprio Ettore Scola nel suo Che strano chiamarsi Federico, poetico block notes su Fellini e sulla loro amicizia lunga una vita. Per la prima volta – ricostruita negli studi di Cinecittà – abbiamo visto al cinema quella redazione che al cinema, il nostro, è servita da palestra. Stiamo parlando, infatti, della redazione del Marc’Aurelio, lo storico giornale satirico fondato da Vito De Bellis nel 1931, la cui storia ci racconta oggi la nipote, Fabiana De Bellis nel suo documentario L’imperatore di carta, passato allo scorso Festival di Taormina e prossimamente in sala per l’Istituto Luce.

È da lì che negli anni, tra chiusure e riaperture e censure, soprattutto, sono passati da Fellini a Scola, da Steno all’inarrestabile coppia Metz e Marchesi, Age e Scarpelli, Zavattini. Giovani artisti che si sono fatti le ossa nella scrittura di testi satirici, battute folgoranti e “cattive”, disegni e vignette con le firme celebri di Attalo o Barbara. Schiere di maggiorate, gagà e povera gente che, anni, dopo avrebbero popolato i film di Fellini, Scola, Monicelli e creato le maschere irresistibili di Totò, Macario, Alberto Sordi.

Attraverso preziosi materiali, disegni, copertine, pagine di giornale dell’archivio della famiglia De Bellis, L’imperatore di carta ci accompagna in un viaggio tra storia e ricordi personali degli ex redattori o dei suoi “eredi”.  Carlo Verdone figlio di quella commedia all’italiana, Enrico Vanzina che racconta di suo papà Steno. Ettore Scola che spiega come si riuscisse a svicolare dalla censura del fascismo anche se “Il Marc’Aurelio non era certo un covo di comunisti”. E che sottolinea soprattutto l’importanza della sua scuola, del suo “metodo: lavorare insieme, in gruppo, condividendo idee e pensieri cosa che nel cinema di oggi non c’è più”. E poi Fellini, in una vecchia intervista, in cui ricorda il suo arrivo in redazione e la sua prima rubrica, “Ma tu mi stai a sentire?” che poi vedremo tradotta in tedesco, come tutto il giornale, negli anni funesti dell’asse Roma-Berlino.

Dalle strisce comiche alle gag cinematografiche (quelle esilaranti di Totò, tutte giocate sui doppi sensi e i giochi di parole, per esempio) il documentario di Fabiana De Bellis ci mostra questo legame creativo tra la carta stampata e la celluloide che resisterà a lungo nel tempo, finché la tv prenderà il sopravvento e farà chiudere i battenti alla storica testata nel 1958, salvo poi ricomparire fugacemente nei primi Settanta.