C’è ancora un altro domani. “Il mio posto è qui” arriva in sala con una nuova storia di emancipazione

In sala dal 9 maggio (per Adler Entertainment) “Il mio posto è qui” di Cristiano Bortone e Daniela Porto, anche autrice dell’omonimo libro (Sperling e Kupfer 2024). Una storia di emancipazione nella Calabria dell’immediato dopo guerra, attraverso le vite di una ragazza madre e dell’aiutante del parroco, omosessuale, esperto di stile, matrimoni e sentimenti. Due personaggi messi ai margini dal maschilismo, dalla misoginia e violenza che oscurava (oscura) il nostro paese. Una storia semplice e proprio come l’omonimo romanzo di Sciascia, è un racconto di crudeltà assoluta. Stessi temi del fortunato film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”

“Per aver raccontato con forza, semplicità e rispetto una storia esemplare di emancipazione e lotta al pregiudizio in un luogo e in un tempo apparentemente lontani”. Attenzione, non stiamo parlando di C’è ancora domani, il film di Paola Cortellesi campione d’incassi.

Con questa motivazione la giuria del Bifest-Bari international film tv festival ha premiato pochi giorni fa Il mio posto è qui, Orisa produzioni, regia di Cristiano Bortone e Daniela Porto, anche autrice dell’omonimo libro (Sperling e Kupfer 2024). Un lavoro “fatto in casa” si può dire, Daniela Porto lavora ad Orisa e ha scritto per il cinema, non viceversa: “Il romanzo del film” si legge sulla copertina.

Stesso periodo, stessi temi, la prima volta delle donne italiane alle urne, l’impenetrabile cappa di maschilismo, misoginia e violenza che oscurava (oscura) il nostro paese. Il film della Cortellesi è ambientato nella periferia romana, questo nella Calabria interna, ma è un fatto che le ombre dell’ inguaribile machismo italiano sembrano essere diventati un argomento forte almeno al cinema.

È una storia semplice quella che Bortone e Porto mettono in scena, e proprio come l’omonimo romanzo di Sciascia, è un racconto di crudeltà assoluta. Entriamo dall’inizio in un contesto talmente cupo, che gli unici due capaci di amare sono due emarginati. Recitato bene in dialetto il film racconta il risveglio e il riscatto di una ragazza madre povera e ignorante e della sua amicizia con Lorenzo, (Marco Leonardi), l’aiutante del parroco, omosessuale, esperto di stile, matrimoni e sentimenti, irriso di giorno da tutto il paese (la notte invece è piuttosto ricercato).

È il 1940, Maura (Ludovica Martino) fa l’amore con Michele la notte prima che lui parta per la guerra, resta incinta e lui dai campi di battaglia non torna più. Nasce il piccolo Michelangelo e se durante la guerra nessuno ha tempo di pensare allo scandalo quando torna la pace la posizione di Maura diventa scomoda, “porta disonore a tutta la famiglia”. Il padre organizza un matrimonio di convenienza con Gino, vedovo anzianotto e rozzo, con due bambine da accudire.

Durante i preparativi del matrimonio Maura conosce Lorenzo. L’uomo riconosce nella giovane madre un’anima gemella, lei invece lo disprezza come il resto dei paesani, l’amicizia nasce a dispetto della diffidenza della ragazza e li travolge più dell’amore, porta ad entrambi vento di libertà e voglia di cambiare. Lui la porta alle feste dei suoi amici, è un mondo opposto a quello del Paese. Conosce una donna che l’aiuterà a qualificarsi per trovare un lavoro, le capita di spiare l’amore fisico tra due uomini e rivive il sesso col suo Michele, quel momento di passione assoluto che le ha travolto la vita.

Ci sono diverse scene divertenti come la fantastica trasformazione di un vecchio abito macchiato in un vero vestito di nozze, il mascheramento di Maura in uno splendido giovane uomo, la lezione di postura che apre il corso di dattilografia sembra un trattato di autostima. Ludovica Martino, dai panni di Eva Brighi di Skam a quelli della ragazza madre calabrese, è ammirevole e ha già ricevuto per questo film un premio come attrice protagonista al Bifest.