Contrordine compagni … Il tappeto è rosso. Alla Mostra il “Chi l’ha visto” del comunismo

“Miss Marx”, “Dear Comrades” e ancora, “Nilde Iotti – Il tempo delle donne”.  La parola “comunista” a rischio di cancellazione dai vocabolari, sugli schermi di Venezia 77 spunta a ripetizione. Lo spettro c’è, ma sembra che il comunismo chieda asilo politico al passato. È nostalgia, memoria, un “Chi l’ha visto?” della storia. Nessun sentimento ti seppellisce più del rimpianto…

“Sei la prima persona che mi dà del leftist, del sinistrorso, dopo John Wayne”: è Dennis Hopper, nella fluviale intervista realizzata da Orson Welles nel 1970, sull’onda della “bomba” Easy Rider e sul set del film “maledetto” e mai completato di Hopper, The Last Movie. Sono andata a succhiarmi queste due ore e dieci di Hopper/Welles – praticamente l’intero “grezzo” recuperato dal polacco Filip Jan Rymsza – perché ai Festival uno avrà pure il diritto di godere a tempo perso.

Senza annoiarvi, preciso solo che sono andata a salutare per l’ultima volta l’amico Hopper nel cimitero indio di Taos (New Mexico), dove si è fatto inumare: terra battuta e una semplice croce di legno. A Taos erano state girate le scene della comune hippie di Easy Rider. Ma non vi tedio, è storia lunga.

Chi non ha guadagnato a tentoni le uscite di sicurezza per allergia a 130 minuti senza montaggio si è scompisciato per certi duetti sul tema Antonioni (Hopper:“Ho guardato sette volte L’avventura, ma devo ancora vederlo, perché mi sono sempre addormentato”. Welles: ”Pensi che sia giusto trasmettere al pubblico un’esperienza come la noia?“). La sorpresa è però che il tarlo ossessivo di Welles versus Hopper sia questo: è comunista, il regista di Easy Rider, è un rivoluzionario? E se lo è, perché non fa outing?

“Comunista”, si sa, per gli americani… per il signor Trump “socialista” è già una bestemmia. Che spunti però a ripetizione, questa parola a rischio di cancellazione dai vocabolari, sugli schermi del Lido, è cosa inusitata. Hopper/Welles, Miss Marx, il Dear Comrades di Konchalowsky, e ancora il documentario di Peter Marcias con Paola Cortellesi, Nilde Iotti – Il tempo delle donne. Tremerà, qualcuno, all’idea che lo spettro che si aggira per la Mostra sia quello del comunismo?

Lo spettro c’è, ma sembra che il comunismo chieda asilo politico al passato. Spauracchio per l’Orson Welles di mezzo secolo fa, passione per la Marx junior della Nicchiarelli, sepolto nel sangue con i ritratti di Lenin tra gli operai falciati dal Kgb krusceviano. È nostalgia, memoria, un Chi l’ha visto? della storia. Nessun sentimento ti seppellisce più del rimpianto.

Siamo tutti post-ideologici. Quella faccenda di “cambiare il mondo” (che accomuna Hopper a Eleanor Marx) oggi non è proprio smarrita, ma nessuno ti spiega come. Il socialismo reale, spacciato per comunismo, ha avvelenato le fonti. Il cinema che guarda indietro non cerca risposte, cerca speranze. Nel nostro presente non ce n’è traccia. Chi guarda Netflix si è votato a La casa di carta come se Bella Ciao fosse il Sol dell’Avvenire, una zattera di salvataggio per sopravvissuti. Per il resto del mondo non significa niente.

Probabilmente non significa niente nemmeno il riaffiorare di un comunismo vetero e “period”, cioè in costume d’epoca, al Festival veneziano. Ma segnala un vuoto pneumatico. Se fossi nei panni di chi governa i partiti di sinistra, ci rifletterei: è un campanello d’allarme.

fonte Huffington Post