Il cineoperatore che visse due volte. Roland Sejko al cuore della cine-propaganda in Albania

In sala dal 7 marzo (per Luce-Cinecittà) “La macchina delle immagini di Alfredo C.” di Roland Sejko. Sentimentale, affettuoso, emozionante il nuovo film del regista albane e mago degli archivi ci porta al cuore della costruzione delle immagini di propaganda attraverso la storia di Alfredo C. che a Tirana ha lavorato prima per il Duce e poi per Enver Hoxha.  Passato in concorso ad Orizzonti-Extra …

Raccontare due volte la stessa terra. Prima dalla parte degli invasori, poi dalla parte degli abitanti di quei luoghi. Prima dal punto di vista del “fascismo”, poi da quello del “comunismo”. La stessa terra che diviene due “set”, diversi, opposti…

Sfide del cinema (e del racconto). Sfide che hanno a che fare con la consolidata “grammatica” delle immagini, e qui soprattutto con le “regole” ferree della “propaganda”.

Sentimentale, affettuoso, emozionante il nuovo film di Roland Sejko, di cui ricordiamo bene il vibrante (e sempre attuale!) documentario Anija /La nave, Premio David di Donatello nel 2013, film che parla di umane esistenze, di città, montagne e strade, di rocce, di un uomo ed in fin dei conti della stessa vita del regista, nato a Tirana ed ora da tempo in Italia.

Il coinvolgimento è presente, comunicato ad ogni spettatore… tempo e racconto si sovrappongono. La memoria, per timore di svanire, è racchiusa entro scatole di metallo, su celluloide, talvolta ancora da stampare… così riaffiora poi il passato.

Se si è fortunati, se i rulli non finiscono al macero prima, e – soprattutto – se si è ricercatori attenti… Parliamo de La macchina delle immagini di Alfredo C.. Alfredo C., personaggio da romanzo, tra realtà documentata e finzione, è uno dei tanti cineoperatori dell’Istituto Luce; un tecnico cui capita di trovarsi, mentre ancora racconta con mestiere le sorti del Regno d’Italia e d’Albania, diciamo “trattenuto” in Albania quando nel novembre del 1944 la nazione riacquista la sua libertà.

Sorte occorsa ad Alfredo C. e ad altri ben 27 mila occupanti italiani. Vicenda storica quasi del tutto rimossa… Il nuovo regime comunista di Tirana gli chiede di continuare a svolgere il suo lavoro, documentare cioè per immagini, questa “nascita di una (nuova) Nazione”; di farlo sotto gli ordini di un tecnico operatore sovietico.

Gli si chiede così, a lui esperto di “propaganda” di continuare a svolgere il suo lavoro per una nazione comunista; per il “nemico”. Ad un “culto della personalità”, gli si chiede di sostituirne un altro, il comandante Enver Hoxha al posto del Duce: ed Alfredo C. accetta.

Ma potrebbe davvero fare scelte diverse? Potrebbe mai rifiutare, ad esempio? Nell’aprile del 1939 l’Italia fascista aveva occupato l’Albania e così migliaia di operai, coloni e tecnici italiani erano stati trasferiti nel paese.

Le manie espansioniste del Duce avevano trovato infine una preda: il Paese delle Aquile. Chiuso nel suo magazzino, dopo gli interrogatori subiti, circondato da migliaia di pellicole, Alfredo C. alla moviola controlla metodicamente quello che ha girato e quasi prevede quello girerà.

Ripassa mentalmente gli insegnamenti: il Duce va inquadrato sempre dal basso, mai di spalle – non gradisce; provvedere le riprese di totali, poi piani più stretti e piani ravvicinati; le immagini devo avere un loro ritmo interno; per questo lui, Alfredo C., si aiuta recitando una vecchia filastrocca mentre gira, per avere così un passo giusto e cadenzato…

Tutto ciò, e ne vediamo esempi, verrà dal lui semplicemente traslato nelle immagini del nuovo regime comunista albanese. Istrione nato, Mussolini aveva anche tentato, da giovane, nelle piccole compagnie, esperienze da attore, poi proseguì, cercando il suo palcoscenico da agitatore politico, da direttore di giornale, da capo di un partito e di una Nazione.

Conoscitore del giornalismo, del cinema, teatrante e teatrale, non gli sfuggì mai, pur giocando talvolta a “mortificarla”, qualificandola come “borghese”, l’importanza del comunicare, del promuovere. Fondò il Luce e Cinecittà, dichiarò il cinema l’arma più forte (meglio però se “incastonato” con l’OVRA, la polizia – 130mila italiani schedati in 20 anni – , con la Milizia volontaria, la rete dei podestà, ad esempio), ma di questa arma scelse per se stesso sempre e solo “sceneggiature” nelle quali il “capo supremo” era, allo stesso tempo, “propagandato” come tale ed anche, e soprattutto, un italiano “semplice”, come tutti gli altri. Forse, solo il più italiano degli italiani… .

Volle che il “suo” cinema raccontasse, per la prima volta, l’Italia; l’Italia, un Paese operoso ed alacre, che reclamava un proprio posto nel consesso internazionale. In questo, lo slogan pubblicitario scelto per il lancio di Cinecittà era stato davvero inequivocabile.

Nei tabelloni in strada c’era stampato, in modo perentorio: “Perché l’Italia Fascista diffonda nel mondo la luce più rapida della civiltà di Roma”. Del resto la scritta nel cartiglio racchiuso nella prima pietra di Cinecittà non era certo meno impegnativa: “Anno reparatae salutis MCMXXXVI die XXIX Januarii – Victorio Emmanuele III Rege – Benito Mussolini Duce – auspicans lapis urbis condendae – ad effigiendas per cinematographi – artem imagines se moventes – solemniter positus est”.

All’arte delle immagini in movimento erano affidati successi e destino della Nazione e del Re. Al Duce ed al Re quelli degli italiani… Tanto ci sarebbe da dire ragionando sul ruolo degli italiani, sul loro essere massa (comparse) e non persone, nel cinema e nei cinegiornali del ventennio. Eppure, la fotografia dall’ottocento, con la sua grande diffusione, aveva dato a tutti una propria faccia, una propria individualità, di cui poter essere anche orgogliosi.

Il cinema, il cinema direttamente “statale”, quello che Mino Argentieri (L’occhio del regime, 2003) fa rimontare al 1916, ossia a quando il governo tedesco contribuì a far sorgere la società Deulig, che si proponeva espressamente di produrre film di propaganda e cineattualità, aveva invece confinato – di nuovo -, quelle masse al ruolo di comparse, in deliquio per questo o quel dittatore o capo di governo.

Sejko del mondo degli archivi sa tutto: e allora scava sotto e dentro la propaganda ed i suoi stilemi, oltre le apparenze, oltre cartelli e striscioni pieni di slogan guerreschi: arriva a descrivere le facce, le anime, di italiani, di albanesi, di soldati patiti, di contadini inurbati in fretta, di funzionari improvvisati, di madri speranzose, di bambini che giocano, di nuove classi sociali per nuove nazioni.

Sono le immagini sulle quali lo stesso Alfredo C. si sofferma nel suo magazzino / biblioteca, fluido deposito di ricordi e di sogni. Sempre da ricordi e sogni partono i racconti. E la “macchina delle immagini” di Alfredo C. è sempre, tuttora in funzione…