Con le armi della semplicità. “L’intrusa” che piace a Cannes

In sala dal 28 settempre (per Cinema), “L’intrusa” di Leonardo di Costanzo, una storia potente nella sua semplicità dove non ci sono né buoni né cattivi, ma sa cogliere il nodo chiave della battaglia contro la camorra: se vuoi rompere la spirale, devi sottrarre alla malavita i suoi figli, rompere la catena di trasmissione. Ed è quello che tenta di fare l’operatrice di un dopo scuola periferia di Napoli. Passato a Cannes alla Quinzaine des réalisateurs…

Diceva Bertold Brecht che la semplicità è la cosa più difficile da ottenere. Semplicità, rigore, assenza di retorica e messaggi chiari sono i più illustri “desaparecidos” del cinema, anche del cinema più impegnato, e non parlo solo di Cannes. Per queste rare virtù bisognerebbe mettere una scritta “Wanted” sotto le insegne del Festival.

Ecco perché un “piccolo” film italiano come L’intrusa di Leonardo Di Costanzo un trionfo alla Quinzaine, si stacca dal coro. Ecco perché, in parallelo, il francese 120 battiti al minuto di Robin Campillo, detiene per ora il record di stellette dei critici, nelle pagelle di Screen e di Le Film Français. Entrambi vantano un’ apparente “semplicità” che è una precisa conquista di linguaggio e di stile.
L’intrusa coglie il nodo chiave della battaglia contro la Camorra, e il più spinoso: se vuoi rompere la spirale, devi sottrarre alla malavita i suoi figli, rompere la catena di trasmissione, guadagnarli a un’altra cultura. Di Costanzo, che nasce documentarista e ottenne il David come “esordiente” per l’ottimo L’intervallo, ha scelto l’inedito punto d’osservazione di un centro ricreativo, un doposcuola per bambini “disagiati”.
L’educatrice Giovanna (la danzatrice Raffaella Giordano) ospita anche, in una stanzetta, le persone in difficoltà. Una giovanissima sconosciuta con due bambini le chiede aiuto. Ma il giorno dopo la polizia arresterà, proprio lì, il marito camorrista della ragazza, un omicida. Faccia di pietra e sguardo sprezzante, Maria non chiede pietà, “pretende”, non conosce altro. Però rifiuta l’aiuto della “famiglia” camorrista. Così parte un illuminante braccio di ferro tra l’educatrice e le madri dei bambini del centro, che rifiutano la convivenza con “il pericolo”. “L’intrusa” va cacciata, insieme ai suoi figli, anche se la piccola Rita, un grumo di violenza e ostilità, si è aperta al gruppo, ai giochi, all’amicizia.
Quando intorno le fanno il deserto, Giovanna sa che ha perso la sua battaglia. Gli “intrusi”, sconfitti, hanno già sgomberato. Ricacciati tra i loro “simili”. Due disfatte enfatizzate dalla festa finale al centro, dove i ragazzini hanno voluto fabbricare un uomo meccanico “c’a capa dritta”, a testa alta. L’unico simbolo di speranza del film. La storia è forte perché è dura, e perché come nella vita non ci sono “i buoni” e “i cattivi”. Ma prodigiosa è la realizzazione, sembra realtà catturata, i bambini (“presi dalla strada”, come usa dire, come quasi l’intero cast) interferiscono tra loro con una naturalezza mai vista, che in realtà, ci ha spiegato Di Costanzo, è improvvisazione “guidata” e provata.

Il regista è felice perché a Cannes non l’hanno visto come un film “locale”. “Il pubblico non mi ha chiesto di Napoli, ma di un problema che affronta tutti i giorni anche chi qua fa intervento nelle banlieues, cercando di allontanare i ragazzi dal fondamentalismo islamico. E ogni giorno si chiede se è giusto sacrificare il singolo ‘a rischio’ per salvare il gruppo”.