Cecilia Mangini e Pier Paolo Pasolini in mostra al Pompidou. Poi ancora Parigi e ritorno in Salento
“Pasolini, Pasoliniennes, Pasoliniens” è la rassegna (online dal l° aprile al 30 giugno) che il Centre Georges Pompidou di Parigi dedica all’opera del poeta corsaro, in cui centrale è stato il sodalizio artistico con Cecilia Mangini, la signora del documentario recentemente scomparsa. Poi a maggio le sue fotografie (“Isole” del Fondo Mangini) all’Istituto Italiano di cultura di Parigi e ancora grande festa in suo ricordo alla Festa di Cinema del Reale in Salento, partner delle iniziative parigine …
“Arrabbiati sublimi del nostro tempo”. Così vengono definiti Cecilia Mangini e Pier Paolo Pasolini nelle magnifiche pagine dei Cahiers du Cinéma del numero di marzo – firmate da Anne-Violaine Hocke –, che preannunciano quello che sarà un omaggio alla pioniera del documentario, scomparsa lo scorso gennaio, nell’ambito della rassegna “Pasolini, Pasoliniennes, Pasoliniens” al Centre Georges Pompidou a Parigi (che si terrà online, salvo riapertura delle sale, dal l° aprile al 30 giugno) in collaborazione con l’Archivio Cinema del reale.
Al centro del ciclo di proiezioni – organizzato dalla Cinémathèque du documentaire à la Bibliothèque publique d’information – c’è il legame di Pasolini col documentario. E quindi delle sue collaborazioni eccellenti in questo territorio, ma anche degli “eredi” del poeta corsaro.
Le pasoliniane e i pasoliniani recita il titolo. Eccoci allora a Cecilia Mangini più che “pasolinienne” motore stesso dei primi passi di Pasolini nel documentario con quei tre titoli (Ignoti alla città, La canta delle marane, Stendalì) che hanno segnato la storia del cinema del reale e non solo.
L’ha raccontato tante volte Cecilia della telefonata a Pasolini – era il ’57/58 e i numeri si trovavano sull’elenco – in cui gli chiedeva di collaborare mettendo insieme, in qualche modo, i loro due debutti: per lei quello nel documentario, Ignoti alla città, per lui quello nella letteratura, Ragazzi di vita uscito nel ’55. È così che è nato l’esordio doc nel doc della prima documentatarista italiana, folgorante racconto del quotidiano ai margini dei ragazzi pasoliniani a cui lo scrittore friulano – già ampiamente famoso e controverso ma non ancora approdato al cinema -, ha offerto il suo toccante commento. Era il 1958. Ed era nato un fondamentale sodalizio artistico.
La vita nelle borgate romane tornerà, infatti, anche ne La canta delle marane (1961), in cui i volti irriverenti dei ragazzi catturati dai primissimi piani della cinepresa di Mangini si sovrappongono alle parole pasoliniane: l’intellettuale celebra l’anarchia e la vitalità di questi giovani attingendo a una sua raccolta di poesie, che uscirà quello stesso anno, La religione del mio tempo.
È nel racconto degli ultimi, degli emarginati, di quel mondo proletario e contadino che sta irrimediabilmente per scomparire con l’avvento della “Nuova Preistoria neocapitalistica” che converge lo sguardo di Mangini e Pasolini, in un sodalizio che conta un altro sorprendente gioiello, questa volta girato nella Grecìa salentina, Stendalì: Suonano ancora (1960). Sulla scorta della lezione del grande antropologo, Ernesto De Martino, il film fotografa un’altra “sopravvivenza” del mondo arcaico nel mondo contemporaneo: uno struggente canto funebre in lingua grieca intonato dalle donne attorno al caro defunto. È di nuovo Pasolini – riprendendo le ricerche avviate per il suo Canzoniere italiano (Garzanti) – a comporre il “Pianto” di commento alle immagini, che viene recitato in maniera straziante dall’attrice Lilla Brignone.
È la condivisione di una postura politica, dunque, quello che accomuna il cinema e il pensiero di questi due autori. Una connotazione politica che è in primo luogo “geografica” – secondo le parole di Hocke, che all’opera della regista di Mola di Bari ha dedicato un allestimento a Roma nel 2016 –, se intesa come un’ “osservazione e una critica della polis dai suoi margini”.
Il “dialogo” tra i due autori non si interrompe nemmeno dopo la morte violenta dell’intellettuale all’Idroscalo di Ostia nel ’75: è dell’83, infatti, Comizi d’amore ’80, sorta di “aggiornamento” dell’inchiesta sulla sessualità avviata da Pasolini vent’anni prima (Comizi d’amore, 1963), realizzato da Cecilia Mangini insieme al compagno d’arte e di vita Lino Del Fra.
La capacità di “articolare il singolare e il collettivo, far sentire (e vedere) il popolo”, tuttavia, appartiene a Cecilia ancor prima di accostarsi al cinema. È una sensibilità che si avverte sin dai primi scatti che documentano la vita degli abitanti e la fatica dei lavoratori sulle isole di Lipari e Panarea: ed è proprio alla sua fotografia – in particolare al suo reportage Isole (1952) – che a maggio verrà dedicato uno spazio in una mostra collettiva all’Istituto Italiano di cultura di Parigi, nuovamente in collaborazione con l’Archivio Cinema del reale e con il sostegno di Apulia film commission.
Lo sguardo documentaristico di Cecilia coglie allora i corpi calati nella specificità del contesto storico, linguistico e sociale in cui agiscono, e la tensione a salvaguardarla, quella specificità, non può che stabilire un’affinità intensiva con gli intenti pasoliniani. Un’affinità che è stata valorizzata oltralpe, e che sta aiutando, finalmente, a (ri)scoprire l’intera opera di questa regista combattente alla cui diffusione tanto si deve a Paolo Pisanelli, suo strettissimo collaboratore con cui ha firmato in co-regia gli ultimi lavori (Due scatole dimenticate, Grazia Deledda la rivoluzionaria) e che da direttore della Festa di Cinema del reale – dopo tante edizioni a lei dedicate – ne proporrà una davvero speciale – la prossima – tutta nel segno di Cecilia Mangini “donna rock del doc”, come è stata ribattezzata da tutti gli amici del festival salentino.
24 Novembre 2020
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