Lo sguardo scettico di un autore. Michelangelo Antonioni protagonista dei libri al MIAC

“L’alienista scettico” di Simona Busni è il libro protagonista del quarto appuntamento nel Museo dell’Audiovisivo di Cinecittà. Uno sguardo sul cinema di un grandissimo, Michelangelo Antonioni, sulla sua concezione del mondo e del vedere…

 

«Com’è fotogenico il vento», è la frase di Michelangelo Antonioni che forse descrive meglio il suo cinema, rivolto sempre all’inafferrabile. Il quarto volume scelto per “Libri al MIAC”, il ciclo di incontri (visibile a questo link) che il museo di Cinecittà sta dedicando da qualche settimana alle più rilevanti pubblicazioni cinematografiche, si concentra nuovamente su un grande protagonista del cinema italiano, dopo i precedenti appuntamenti dedicati a Giulietta Masina ed Ettore Scola.

A conversare con Andrea Di Consoli è la professoressa Simona Busni, autrice de L’alienista scettico (edito da Fondazione Ente dello Spettacolo). Un titolo particolare ed enigmatico, degno dell’uomo di cui si occupa, che ammicca al grande tema generalmente identificato con Antonioni, l’alienazione, congiungendolo sia con l’antico nome degli psicologi sia con l’atteggiamento dubitativo che contraddistingueva i filosofi scettici nella Grecia antica.

La carriera e la ricerca portata avanti da Antonioni per mezzo della macchina da presa, in effetti, sono sempre state una corsa forsennata verso domande irrisolvibili o forse verso un unico e solo punto interrogativo di cui i vari temi – l’amore, la comunicazione, l’identità, l’immagine – sono solo differenti sfaccettature; «non scordiamoci che nasce come critico», ricorda Busni.

Gli echi di questo primordiale punto interrogativo si manifestano in tutto: nei dialoghi (e nei silenzi) dei suoi personaggi, nelle trame, nei paesaggi, «come riverberi continui». Proprio sui paesaggi si sofferma Busni, «una delle sue ossessioni primarie», concentrandosi soprattutto sui primi cortometraggi: Gente del Po e N.U. (con cui Antonioni sosteneva di aver “inventato” il Neorealismo).

Nella celeberrima tetralogia esistenziale – L’avventura, La notte, L’eclisse e Deserto rosso – questo quid invisibile si cristallizza invece nel volto enigmatico di Monica Vitti, «piaccia o non piaccia, è la sua musa, il filo rosso che lega i quattro film». Ma dovendo indicare un film da cui cominciare per approcciarsi ad Antonioni, Busni non ha dubbi: «Blow-up, è quello che consiglio sempre ai miei studenti»; senza però dimenticare i primi lavori «melodrammatici» con Lucia Bosè come protagonista.

La conversazione ha però una composizione ad anello, si apre con le immagini dell’ultimo cortometraggio antonioniano, Lo sguardo di Michelangelo, e lì ritorna. Il regista entra in San Pietro in Vincoli e si ferma davanti alla statua del Mosé, dell’omonimo Buonarroti. La osserva in silenzio e la tocca, come a voler scoprire in quello sguardo vacuo la risposta finale a quella domanda mai raggiunta. «È come un cieco che ha riacquistato la vista», spiega Busni, «che per riconoscere la realtà sa che la sola vista non può più bastargli».