In memoria di Giorgio Arlorio che la storia del cinema l’ha scritta col noi

Uno stralcio della laudatio per Giorgio Arlorio firmata da Steve Della Casa, Vittorio Sclaverani e Caterina Taricano in occasione del Premio Maria Adriana Prolo alla carriera 2018 consegnato al grande sceneggiatore lo scorso anno al Festival di Torino. Per gentile concessione dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema…

Giorgio Arlorio, sul set del film di Germi, “Il brigante di Tacca del lupo” (1952). Archivio Arlorio

Un estratto della laudatio per Giorgio Arlorio firmata da Steve Della Casa, Vittorio Sclaverani e Caterina Taricano per l’associazione Museo Nazionale del Cinema.

Giorgio Arlorio è una figura davvero molto unica nel panorama del cinema italiano. Questa unicità non gli deriva dal fatto di essere eclettico. L’eclettismo è però veramente una sua caratteristica portante. Come definire altrimenti una persona che ha lavorato con eguale entusiasmo (e senza nascondere il proprio nome) con Gillo Pontecorvo e con Franco e Ciccio, che ha scritto opere sulla liberazione della Palestina e che ha inventato Specchio segreto negli anni Sessanta e Chi l’ha visto? negli anni Novanta? E poi: che ha scritto la prima importante commedia in cui si parla di comunisti e omosessualità e che ha formato intere generazioni di sceneggiatori (Ivan Cotroneo, Francesco Bruni…) al Centro Sperimentale dove ha a lungo insegnato?

Però come dicevamo prima questo non è il tratto portante della sua unicità. L’unicità di Giorgio Arlorio è sicuramente la coerenza, che sappiamo essere merce rara nella gente italica (e in particolare nell’Italia del cinema). La sua coerenza si esplica sicuramente con il fatto di essere stato fedele alla sua fede di sinistra per tutta la vita, ma il punto non è neanche questo. Del comunismo, Arlorio ha assorbito soprattutto il senso della comunità. Per lui la comunità significa lavorare insieme. Frugando nella sua filmografia, ampia e frastagliata come è, troveremo che non esiste mai un film interamente suo. Non ha mai voluto fare il regista (se non di pubblicità) perché non gli piaceva comandare. Non ha mai pensato il suo lavoro di scrittore come quello di un intellettuale che crea da solo nella bambagia della sua turris eburnea.

Nel fiume di parole che sono abitualmente i suoi racconti, Arlorio raramente racconta “io”. In tutti gli episodi ci sono sempre altre persone, altri compagni di avventura, e il prenome è sempre “noi”. Noi abbiamo girato un film in Palestina, e ne avremmo scritti anche altri che non si sono realizzati. Noi abbiamo lavorato per tanti anni al Centro Sperimentale cercando di spiegare a ragazzi di talento che cosa è la scrittura e come sia impossibile considerarla un’esperienza solo personale. Noi – con Pontecorvo e gli altri – abbiamo fatto un grande lavoro di documentazione per i nostri film. Noi – con Nanni Loy – abbiamo preso un format spagnolo e lo abbiamo messo sottosopra per adattarlo alla cultura italiana, ed è venuto fuori Specchio segreto. Persino: noi – con Alain Delon – abbiamo lavorato per fare in modo che Zorro non fosse solo uno spadaccino bensì un liberatore degli oppressi.

Ha saputo mescolarsi con tutti, dando molto e anche prendendo. Ha creato tante comunità. Persino quando ha scritto un libro di memorie ha voluto che le stesse venissero fuori non da un racconto lineare e cronologico, ma da una sorta di autocoscienza collettiva che hanno fuso insieme per un lungo periodo lui e la storica del cinema che con lui ha condiviso l’impresa.

Giorgio Arlorio riceve il premio dedicato a Maria Adriana Prolo, la fondatrice del Museo Nazionale del Cinema. È difficile pensare a persone così diverse, che peraltro non si sono mai conosciute. Ma forse non è un azzardo pensare che si sarebbero trovati bene se avessero lavorato insieme. Un forte humour piemontese, una determinazione sabauda, una forte volontà di riuscire nei propri intenti senza cercare i riflettori bensì il risultato. Lo riceve insieme ad un operaio che ha conosciuto solo recentemente, ma che ha condiviso idealmente con lui sogni e impegno politico. E infine lo riceve perché conoscerlo è stata un’esperienza dalla quale, in tutta sincerità, possiamo dire di aver imparato veramente molto.