Addio Adriano Aprà. L’ultimo critico militante e (davvero) Fuorinorma, capace di parlare alle nuove generazioni
È scomparso il 15 aprile all’età di 83 anni, Adriano Aprà: critico cinematografico militante, direttore di festival e docente, intellettuale ed animatore culturale sempre appassionato e controcorrente. La sua ultima “creatura” la rassegna Fuorinorma, dedicata al nuovo cinema sperimentale italiano. I funerali mercoledì 17 aprile (ore 15) alla chiesa degli Artisti a Roma. Il 24 aprile (ore 10.30) ricordo-omaggio alla Casa del cinema di Roma …
È una prova che di norma spetta registi e interpreti, quella del tempo. Non è raro che ci si confronti su quanto un film, o anche un’intera filmografia, sia in grado di parlare alle diverse generazioni. Succede un po’ meno spesso che questa prova venga fatta con il lavoro dei critici, forse perché si dà per scontato che sia improbabile che quel lavoro resti nel tempo. Invece esistono casi come quello di Adriano Aprà, morto il 15 aprile a 83 anni, che dimostrano il contrario.
Le generazioni più giovani nel nome di Aprà non ci si sono imbattute sulle pagine di “Filmcritica”, dove ha scritto a lungo, o di “Cinema & Film”, che ha fondato oltre che diretto. Forse lo hanno letto su “Alias”, il settimanale culturale del “manifesto”, dove ha scritto negli ultimi tempi. Ma di certo lo hanno invece trovato, in piccolo, sulla copertina di quello che è un po’ la bibbia della cinefilia: Che cosa è il cinema di André Bazin. È la raccolta di scritti che è stata la genesi di un mondo: la critica, i “Cahiers du Cinéma”, più in là ancora la Nouvelle Vague di Godard e Truffaut.
Ecco, l’edizione italiana di quel piccolo volume, capace ancor oggi di far nascere passioni e riflessioni, porta la firma di Aprà, non solo come traduttore ma anche come curatore. È solo uno dei suoi innumerevoli contributi, che spaziano dal suo grande amore per il cinema di Rossellini (a cui ha dedicato anche uno dei suoi film da regista, Rossellini visto da Rossellini) al cinema statunitense delle origini.
Ma Aprà non si è limitato, se di limite si può parlare, al solo mestiere di critico. Per dodici anni ha diretto il festival di Salsomaggiore (dal 1977 al 1989), poi la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro (dal 1990 al 1998) di cui è stato sempre un pilastro (insieme ai fondatori: Lino Micciché e Bruno Torri, altro decano della critica). Infine, la Cineteca Nazionale (dal 1998 al 2002). Ha stretto amicizia con molti protagonisti del cinema internazionale, da Strab-Huillet a Bellocchio, passando per Bertolucci, per cui è stato anche attore nel suo episodio di Amore e rabbia. E ha anche diretto due lungometraggi: Olimpia agli amici (1970) e il documentario Rossellini visto da Rossellini (1992).
Negli ultimi anni, mai domo, si era dedicato all’insegnamento, nell’ateneo romano di Tor Vergata. Nel 2017 aveva inoltre lanciato Fuorinorma, un “festival-simposio” dedicato alle nuove tendenze del cinema italiano. Con Aprà scompare non solo un apripista della critica, ma una mente obliqua, capace di muoversi in più direzioni, una voce a cui non è mai mancato il fervore. Come ha scritto il suo amico Marco Bellocchio: «Era uno che criticava usando l’immaginazione, qualità rara nella categoria, e ha mantenuto fino all’ultimo la passione, sentimento ancora più raro».
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.