Da “Nomadland” a “La regina degli scacchi”. Tutti gli adattamenti vincitori ai Golden Globe


È un grande carico di libri quello approdato sulle coste americane per questa 78esima edizione dei Golden Globe. Sono infatti gli adattamenti i grandi protagonisti dei premi assegnati dalla stampa estera, da sempre prestigioso viatico per l’Oscar.

A trionfare, come da pronostici – portando a casa la statuetta per il miglior film drammatico e per la miglior regia –, è Nomadland, diretto dalla sinoamericana Chloé Zhao e tratto dall’omonimo libro d’inchiesta di Jessica Bruder. Già vincitore del Leone d’oro a Venezia lo scorso anno, il film – che vede protagonista un’immensa Frances McDormand – racconta la tragedia sociale dei “nuovi nomadi” americani, per lo più anziani, che in un’epopea simile a quella narrata da Steinbeck in Furore, si spostano su furgoni arrangiati seguendo le rotte dei lavori stagionali che richiedono manodopera precaria e a basso costo.

In un adattamento tutto al femminile, il riconoscimento assegnato a Zhao – già autrice di Songs My Brothers Taught Me (2015) e The Rider (2017) – ha qualcosa di storico: era dal 1984, infatti – quando a ricevere il Golden Globe fu Barbra Streisand con il suo Yentl –, che una regista donna non veniva premiata.

L’ascesa di una giovane donna in un mondo di uomini, guarda caso, è anche al centro di La regina degli scacchi di Scott Frank– serie targata Netflix ispirata all’eroina del romanzo breve di Walter Tevis (Mondadori, 2021) –, che non solo si aggiudica la statuetta in quanto miglior mini-serie, ma vede anche la bravissima Anya Taylor-Joy meritarsi il titolo di miglior attrice in serie o film per la televisione. Uno scacco matto ad altri due adattamenti eccellenti come Unorthodox di Maria Schrader (Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche di Deborah Feldman, Abendstern, 2019) e Normal People diretto da Lenny Abrahamsone e Hettie Macdonald (Persone normali di Sally Rooney, Einaudi, 2019), e alle rispettive protagoniste Shira Haas e Daisy Edgar-Jones.

Di nuovo una conquista femminile, e tutta italiana, è il Golden Globe a Laura Pausini per la migliore canzone originale, Io sì (nata in collaborazione con Diane Warren e Niccolò Agliardi), da La vita davanti a sé di Edoardo Ponti, versione barese del celebre libro di Romain Gary (Neri Pozza, 2009).

Ad entrare nella storia è anche Andra Day che, al suo debutto come attrice in The United States vs. Billie Holiday, ottiene il premio come migliore attrice in un film drammatico: nei panni della leggendaria cantante jazz – le cui vicende sono raccontate nelle pagine di Chasing the Scream di Johann Hari –, è la prima donna nera ad ottenere questo riconoscimento dal 1985, quando venne assegnato a Whoopi Goldberg per la sua interpretazione ne Il colore viola.

A vincere il titolo come miglior attrice non protagonista è invece Jodie Foster in The Mauritanian di Kevin Macdonald, ispirato alle memorie che Mohamedou Ould Slahi, detenuto per quattordici anni nel campo di prigionia di Guantánamo, ha racchiuso nel suo Guantanamo Diary (2005).

Il miglior attore in una miniserie televisiva ha invece il volto di Mark Ruffolo, che alla sua terza nomination riesce finalmente ad agguantare il premio per la sua interpretazione in I Know This Much Is True, dall’omonimo romanzo di Wally Lamb (La notte e il giorno, Longanesi, 2002), incentrato sul rapporto problematico tra due gemelli completamente diversi.

Da una pièce teatrale di August Wilson è infine tratto il film drammatico con il quale Chadwick Boseman, tristemente scomparso lo scorso agosto, viene ricordato e premiato come Miglior attore: Ma Rainey’s Black Bottom di George C. Wolfe, che racconta le tensioni tra i membri della band della celebre cantante blues Ma Rainey.

Qui l’elenco completo dei vincitori.