Senza Bellezza. Il ritratto doc del “Rimbaud di Monteverde” arriva al cinema

Arriva in sala “Bellezza, addio”, ritratto doc di Dario Bellezza firmato da Massimiliano Palmese e Carmen Giardina.  Lunedì 19 febbraio al Cinema Nuovo Sacher di Roma (ore 21.00); lunedì 26 febbraio al Cinema Anteo Palazzo del Cinema di Milano (ore 21.30); venerdì 12 aprile al Cinema Academy Astra di Napoli (ore 18.20). Consacrato “miglior poeta della sua generazione” da Pasolini, conosciuto anche come il “Rimbaud di Monteverde”, il film ricostruisce il percorso umano e artistico di un autore colpevolmente dimenticato. Presentato alla scorsa Mostra di Pesaro …

 

Nella smemorata sciatteria della contemporaneità probabilmente il nome di Dario Bellezza farà scattare a pochi una scintilla nel buio della memoria. Eppure Bellezza, per il quale verrebbe da dire nomen omen per qualità e presenza, è stato tra i poeti più importanti della seconda metà del Novecento italiano.

Pier Paolo Pasolini diceva che per esprimere un giudizio su un film bisogna attendere il montaggio definitivo e, allo stesso modo, per l’esistenza di un uomo si può darne un’esatta valutazione solo dopo la morte, a maggior ragione se si tratta di un artista.
L’affermazione di Pasolini, che di Dario Bellezza fu amico e mentore, sembra dettare la linea ai lavori recenti di Massimiliano Palmese e Carmen Giardina.

Con Bellezza, addio (prodotto da Zivago Film e Luce Cinecittà e in programma il 20 giugno al Festival di Pesaro 2023), assieme al precedente Il caso Braibanti  (film del 2020 e David di Donatello 2021 come Miglior documentario – Docufiction) si va a comporre una trilogia poetica – ma soprattutto umana – della quale il terzo capitolo, come già anticipato, riguarderà Sandro Penna.

Ancora una volta gli autori assumono sulle proprie spalle l’onere gravoso di togliere dall’oblio un uomo, prima che un poeta. Dario Bellezza si era sentito defraudato del giusto riconoscimento e questo film può essere visto come un tenero risarcimento.
Il soggetto e poi il lavoro concluso, però, viaggia su diversi piani e restituisce tutta la complessità dell’uomo a cui è dedicato.

È malinconico per la condizione d’infelicità profonda del poeta ma è anche di estrema onestà nel non nascondere il narcisismo e la rabbiosa cattiveria di chi sente di aver subito un torto e che vuol sfogare, spesso anche a casaccio. In più di un passaggio si fa riferimento alla “famiglia culturale” a cui apparteneva e dalla quale era accolto ma alla quale, come spesso succede, non risparmiava dispetti, maldicenze e rancori. Era geloso di Moravia, anche se lo sentiva quasi quotidianamente la mattina presto; per Elsa Morante provava un amore-odio dopo che lei lo aveva allontanato per averne subito i pettegolezzi e gli sgarbi.

I materiali di repertorio ci riportano nella Roma più familiare a Bellezza: Campo dè Fiori e via dei Pettinari dove ha abitato a lungo, l’appartamento dalle parti di ponte Sisto dove Amelia Rosselli gli affittò una stanza, ma anche la Stazione Termini, i Lungotevere e altri luoghi dove andava a cercare un sesso occasionale che descriveva come unica espressione di vitalità e anestetico per il proprio profondo dolore ma che portava con sè la consapevolezza di quanto breve ed effimero gli fosse anche quel momento. E poi L’Alibi, la discoteca gay di Testaccio.

È un viaggio, come si dice anche nel film, nel paesaggio di Lettere da Sodoma (1972, ed. Garzanti), il romanzo forse più riconoscibilmente autobiografico e del quale si parla più di ogni altro nel film. Più della raccolta poetica d’esordio, quel Invettive e licenze (1971, ed. Garzanti) che lo lanciò, grazie a Pier Paolo Pasolini che lo aveva incoronato “Il miglior poeta della nuova generazione”.

Nel 1976 esce Morte Segreta (1976, ed. Garzanti) considerato uno dei libri più belli del secondo Novecento italiano, con cui Dario vinse il premio Viareggio, piacere che la sua insoddisfazione intima non gli consentì di apprezzare se non per un breve momento, come fosse anche quel riconoscimento uno dei fugaci incontri con una marchetta alla Stazione Termini.

Il ritratto che sembra uscire dal film è anche quello di un uomo a cavallo tra due epoche: il ‘900, a cui sente di appartenere nell’intimo della sua poesia, alle stagioni dell’impegno e, contemporaneamente, a quel cataclisma chiamato “anni ‘80”. Quel decennio che ha trasformato uomini e cose, le vie di Roma-Sodoma si riempiono di eroina, l’Aids si insinua negli anfratti, la città improvvisamente illuminata dalle lampade alogene di nuovi lampioni dove fino a poco prima la semioscurità caravaggesca era un’accogliente alcova diffusa.

Pensando al passaggio tra gli anni ‘70 e gli ‘80, forse ingenuamente, viene da chiedersi se senza Lettere da Sodoma avremmo mai avuto Altri libertini (1980, ed. Feltrinelli) di Pier Vittorio Tondelli, pur nelle diverse peculiarità delle due opere e, beninteso, degli autori.
Nel film, attraverso le testimonianze dei tanti che hanno incrociato la vita con Dario, si compone un compendio di Bellezza: il lavoro di poeta, quello militante di un movimento per i diritti degli omosessuali ancora agli albori e quello di testimone del proprio tempo.

Barbara Alberti è la più presente. Renzo Paris, Franco Cordelli, Dacia Maraini, Elio Pecora, Fiammetta Jori, i poeti. Ninetto Davoli che candidamente indica i motivi per i quali Pasolini prese Dario come segretario. Il coming out di Nichi Vendola. E poi c’è Giuseppe Gorrera che sfoglia le carte dell’Archivio Bellezza che custodisce e tra le molte conferme escono inediti gesti di solidale umanità per Anna Maria Ortese. Il decennio successivo al ‘68 che oggi è mistificato e oggetto di riscritture di comodo viene attraversato fino al momento che simbolicamente sembra decretarne la fine: il Festival Internazionale dei Poeti, organizzato a Castelporziano tra il 28 e il 30 giugno 1979.

Quella che è stata definita la “Woodstock della poesia” sulla spiaggia libera dei romani, aveva messo insieme un cartellone con più di cento poeti da tutto il mondo e tra i quali figuravano come ospiti di punta Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs e altri venerati maestri della beat generation. La terza serata, che aveva visto arrivare una quantità di pubblico esorbitante ed eterogenea, più vicina ai freak dei concerti rock, anche perché era previsto l’arrivo di Patti Smith (che non arrivò), che a quello di un evento poetico. Infatti la serata fu catastrofica: ben presto il pubblico assaltò il palco strappando di mano il microfono ai poeti o rumoreggiando per impedire le letture.

Dacia Maraini non riuscì a parlare abbandonando la scena non senza rivolgersi al pubblico, “Avete ragione, la poesia non serve a niente!”, e Dario Bellezza litigò con la platea che non lo applaudiva, molti giovani vollero salire sul palco e recitare propri versi, altri si esibivano nudi con movenze irridenti e a un certo punto si materializzò persino un’enorme pentola di minestrone, tanto che il palco cedette per il peso delle persone che pretendeva la propria razione. In quel momento stava finendo tutto, non c’era più nessun pensiero dietro quel caos. Non erano più gli anni ‘70 e non erano ancora gli ‘80, c’era solo un vuoto di senso che la poesia non poteva né colmare e nemmeno fronteggiare.

Dario Bellezza uscì da quell’esperienza ancora una volta frustrato. Lui, il “Rimbaud di Monteverde” , sullo stesso palco con gli eroi della Beat Generation avrebbe voluto essere celebrato dal pubblico e invece …
Quella sua affermazione “Mi trovo a disagio nella realtà” trova una volta di più la sua profonda ragione d’essere.
La maledetta realtà degli anni ‘80 infierirà ancora di più su Dario e sul (suo) mondo: nel 1987 scoprirà di essere sieropositivo e nove anni dopo, il 31 marzo 1996, morirà di Aids non senza essere stato sbattuto senza pietà, senza alcuna colpa, sulle pagine dei giornali rendendo pubblico il segreto che aveva faticosamente nascosto alla famiglia e alla gran parte degli amici.
Come per Braibanti, anche per Dario Bellezza vale quanto scritto da Franco Cordelli: “Il poeta crociato è anche il poeta crocefisso”.