Il cinema d’autore per capire il mondo. Il ‘900 di Citto Maselli per il suo 91esimo compleanno
Buon compleanno Citto Maselli che il 9 dicembre compie 91 anni. Per l’occasione rilanciamo l’intervista fatta con lui in occasione dell’omaggio-tributo che gli ha dedicato la Mostra di Venezia 78. Un riconoscimento alla “carriera di un artista che ha contribuito alla crescita dell’arte cinematografica”. E che di quella carriera-vita affollatissia di grandi nomi del ‘900 ci racconta. Il ruolo fondamentale del cinema d’autore per “leggere con sguardo critico il mondo. La sua battuta d’arresto con l’avvento del pensiero unico e la finanza globalizzata. Ma anche i tanti movimenti che testimoniano la volontà e la neccesità del cambiamento. Una speranza per il futuro – dice Citto – che io chiamo comunismo”…
È una lunga storia d’amore quella di Citto Maselli col cinema d’autore. E proprio Storia d’amore, quel suo magnifico Jules et Jim proletario che trionfò a Venezia nell’86 lanciando anche Valeria Golino appena diciassettenne, è il film che la Mostra ha scelto per rendergli omaggio lo scorso settembre.
Per la prima volta a “reti unificate” (Venezia 78, Biennale, Giornate degli Autori e Settimana della critica) si è svolto l’omaggio-festa (in Sala Grande il 6 settembre) dedicato alla “carriera di un artista che ha contribuito alla crescita dell’arte cinematografica”, l’autore Citto Maselli “che ha attraversato con talento e coerenza molte stagioni del cinema italiano”. Nonché “figura di spicco nel rinnovamento della Biennale alla fine degli anni ’60 e nelle lotte per l’indipendenza degli autori alla testa dell’ANAC” e che 18 anni fa – insieme ad Emidio Greco – ha fatto nascere Le Giornate degli autori.
C’è quasi tutta la storia del 900 insomma, nella vita di Citto Maselli magnifico novantunenne – compiuti il 9 dicembre – e “patito comunista italiano”, secondo l’ironica definizione d’antan di Ennio Flaiano che lui stesso rievoca divertito raccontando, per l’occasione, il suo quasi secolo d’artista.
“Il cinema d’autore – attacca subito – è stato la caratteristica principale del cinema europeo. Mentre negli Usa si è formata la più potente cinematografia commerciale per il grande pubblico, l’Europa ha puntato su quel cinema che, attraverso lo sguardo dell’autore, sa offrire una lettura critica della realtà, aiutando a capirne gli aspetti più complessi. Come fa l’arte in generale del resto. Il primo film dei Lumière, non dimentichiamo, è l’uscita delle operaie dalla fabbrica. Le questioni sociali e il loro racconto sono presenti alla nascita del cinema”.
Ed hanno camminato con lui. Jean Gabin magnifico eroe proletario, per esempio, “ha segnato la grande stagione di quello francese degli anni Trenta con Jean Renoir, Marcel Carné, Julien Duvivier. L’Italia del Neorealismo ha prodotto capolavori come Sciuscià, Ladri di biciclette e la Terra trema, il più grande film della storia. Eppure il cinema d’autore – prosegue Citto – non è per forza drammatico. Basta pensare a Chaplin e a Tempi moderni“. Ma anche al racconto sociale dell’Italia di Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, Ugo Gregoretti.
“Certo io le corde della commedia – aggiunge Maselli – non ce l’ho mai avute. E l’ho capito molto bene coi miei due unici tentativi: Fai in fretta ad uccidermi … ho freddo! e Ruba al prossimo tuo. Quando Flaiano ha visto il primo si è messo a letto malato”.
Lo sceneggiatore di Fellini, invece, era stato suo sodale nella stesura dei dialoghi de Gli sbandati (1955). Già in quel sorprendente esordio d’autore, Citto venticinquenne (aiuto di Visconti e Antonioni) aveva calato i suoi assi con una storia resistenziale in cui la critica alla borghesia e i potenti ritratti femminili, emergevano come cromosomi di un DNA che non avrebbe mai tradito. Regalando di lì ia poco capolavori come I delfini o Gli indifferenti dal romanzo d’esordio di Alberto Moravia.
Erano anni in cui gli autori erano un gruppo di amici al bar (o al ristorante da Otello la storica trattoria romana), di quelli però che avrebbero riempito le antologie del Novecento. Pittori, scrittori, registi, sceneggiatori tutti insieme appassionatamente confrontandosi sul mondo e sul suo racconto. Cesare Zavattini, Alberto Moravia, Ermanno Rea, Italo Calvino, Emidio Greco, Gillo Pontecorvo, Ettore Scola, Renato Guttuso, Giorgio Arlorio, Carlo Lizzani, Furio Scarpelli, Giovanna Marini, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Giliano Montaldo e ancora Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni e Flaiano che a tutti loro si divertiva a dare i nomignoli.
E Citto Maselli fra gli altri. Lui che era cresciuto con Pirandello in famiglia (a lui deve il diminutivo di Citto al posto di Francesco) nel salotto intellettuale di papà Ercole, critico letterario de Il Messaggero, frequentato da Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Silvio D’Amico, Guido Piovene, Emilio Cecchi, Rosso Di San Secondo non doveva cambiare direzione più di tanto. Tra gli artisti c’era nato. L’aggiunta fu la politica.
La militanza nel partito comunista, del resto, era già cominciata da studente, al liceo Tasso di Roma durante il fascismo insieme a Luigi Pintor, Aggeo Savioli, Luciana Castellina, Alfredo Reichlin, Sandro Curzi. Il cinema, quello d’autore – spiega – “è stato il naturale strumento per raccontare il mondo attraverso la lente del pensiero politico”. Ma mai dogmatico, né tantomeno di propaganda. Nessuno come Citto Maselli, infatti, è stato il cantore critico del Pci e della sinistra tutta, capace di raccontarne contraddizioni e tradimenti (Lettera aperta a un giornale della sera, Il sospetto, Le ombre rosse).
“Il cinema d’autore – spiega – ha avuto la sua battuta d’arresto con l’avvento del pensiero unico, la finanza globalizzata e il suo dominio su tutto”. Tematiche del resto già anticipate nel suo lucidissimo Cronache del terzo millennio (1996). “Gli autori oggi non hanno più forza, non ci sono leggi che tutelino il cinema d’autore, la cultura in generale e lo sguardo critico di cui invece c’è un gran bisogno”.
Eppure conclude Maselli “da Seattle a Genova, all’America Latina del socialismo del XXI secolo assistiamo alla nascita di tanti piccoli movimenti, piccole monadi che testimoniano la volontà e la neccesità del cambiamento. Di una società non più dominata dal potere economico e dalla divisione in classi. Una speranza per il futuro, insomma, che io chiamo comunismo”.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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