Addio a Franco Giraldi, regista di storie (e adattamenti) che non dimenticavano la Storia

È morto il 2 dicembre, a causa del Covid, il regista Franco Giraldi, 89 anni. Esponente (anche come critico per L’Unità) di un cinema e di una tv che non aveva paura di misurarsi con le grandi questioni della Storia e della società. Esordì col western (fu anche regista di seconda unità in “Per un pugno di dollari“). Tra i suoi lavori molti apprezzati adattamenti, dalla commedia “La bambolona” a “La giacca verde” (amatissimo anche dall’autore Mario Soldati), fino a “Delitto e castigo” e all’investigatore Pepe Carvalho…

Caso raro se non unico, che un autore letterario si riconosca a tal punto nella trasposizione filmica del proprio libro da definirla “interamente sua”, oltre che del regista. È accaduto a Mario Soldati per il film (tratto dal racconto omonimo) La giacca verde (1979), di Franco Giraldi, scomparso il 2 dicembre a 89 anni, per colpa di quella tragedia (nella tragedia di una società già da tempo malata) che è il Covid.

Regista, sceneggiatore, partigiano e comunista, critico e tanto altro per il cinema (e per una tv culturalmente densa e consapevole), Giraldi era nato a Comeno, sul Carso, e cresciuto a Trieste (si trasferirà a Roma negli anni Cinquanta condividendo il “celebre” appartamento di via Massacciucoli con Pontecorvo e Montaldo): figlio di quella terra al confine tra diverse lingue e storie che aveva nutrito anche l’esperienza di un caposaldo del nostro Novecento come Italo Svevo. Non a caso, La Trieste di Svevo è tra i soggetti dei corti documentari realizzati da Giraldi nei primi anni Sessanta, e alla Città di Zeno il regista dedicherà pure l’omonimo film-inchiesta del 1978.

Prima dell’esordio nel lungometraggio con 7 pistole per i MacGregor (1966), l’impegno come critico cinematografico a l’Unità e una lunga, proficua gavetta sui set di Gillo Pontecorvo (Giovanna), Giuseppe De Santis (Uomini e lupi), Carlo Lizzani (Il gobbo), Giuliano Montaldo (Tiro al piccione) e Sergio Leone: con quest’ultimo Giraldi apre la stagione del western all’italiana grazie a Per un pugno di dollari, dove è regista di seconda unità. E sono appunto western i primi film del Giraldi regista (tra cui anche Sugar Colt e 7 donne per i MacGregor), che però qualche anno dopo passa a una commedia satirica e spesso di derivazione letteraria: tra i titoli, La bambolona (1968, con Ugo Tognazzi, dal romanzo omonimo di Alba De Céspedes) e Gli ordini sono ordini (1972), con Monica Vitti, dal racconto omonimo di Moravia.

Uomo di un cinema italiano che non c’è più, Giraldi: un cinema (e una televisione) in grado di far entrare la Storia nelle sue storie, popolari o d’autore, collettive o intime che fossero. «L’idea di un film intimista, campato per aria, avulso dal contesto storico, mi è insopportabile», diceva lui che (come altri della sua generazione) la Storia l’aveva vissuta in prima persona, nella sua terra di frontiera, anche e soprattutto da partigiano di una Resistenza la cui lotta non è certo finita nel 1945.

E certo l’attenzione alla Storia, ovvero a quanto sta sempre prima e intorno ad ogni soggetto drammatico, ad ogni verità detta attraverso la finzione, lo rendeva anche un valido regista e sceneggiatore di opere tratte dalla letteratura. Come già detto quella Giacca verde (con Jean-Pierre Cassel, Renzo Montagnani e Senta Berger) di cui l’amico Soldati disse «è il mio miglior film. Interamente mio, ma nello stesso tempo interamente di Giraldi». E come La rosa rossa (1973, dal romanzo di Pier Antonio Quarantotti Gambini), gli affreschi triestini Un anno di scuola (dal racconto di Giani Stuparich) e La frontiera (1996, dal libro di Franco Vegliani). Come Voci (2001, dal romanzo di Dacia Maraini), ultimo lungometraggio di finzione ma non ultimo film: seguiranno documentari e cortometraggi, tra cui uno dedicato al dostoevskjiano Delitto e castigo (2007).

Per il piccolo schermo Giraldi aveva anche diretto L’avvocato Porta, con un altro grande scomparso di questo triste 2020, Gigi Proietti (che recitò per lui anche ne Gli ordini sono ordini). E aveva fatto vivere l’investigatore Pepe Carvalho (nella serie omonima del 1999) creato dallo scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán, in grado (fin dal nome) di ispirare il celeberrimo Montalbano di Camilleri. Un’altra figura, José Carvalho Tourón detto Pepe (ex combattente comunista nella Guerra Civile spagnola), che nei suoi gialli porta (anche) il peso della Storia e della politica. Quel peso che registi come Giraldi non avevano paura di portare nei loro film.